Facciamo chiarezza sul test sierologico per il Covid: ecco quali sono le differenze tra i metodi utilizzati e come interpretare le risposte.
I test sierologici nascono come alternativa più rapida al classico tampone e vengono eseguiti mediante un prelievo venoso. Sul sangue, infatti, andranno ricercati gli anticorpi prodotti contro il Covid 19: ossia le immunoglobine prodotte in caso di infezione, le IgM e le IgG.
Anche se si è molto discusso in merito alla loro affidabilità nel corso del tempo, questi continuano ancora ad essere utilizzati: ce ne sono diversi che utilizzano metodi di ricerca diversi. Ma in cosa si differenziano e come fare ad interpretare i risultati?
Facciamo finalmente un pò di chiarezza!
I metodi adottati per testare l’affidabilità di un test sierologico sono essenzialmente due: quello della sensibilità e della specificità. Per quanto riguarda il primo, si intende la sua capacità di identificare i soggetti malati; il secondo, invece, è la capacità di identificare correttamente i soggetti sani.
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Alcuni test in commercio utilizzano come riferimento campioni di sangue che vengono da biobanche e che sono stati raccolti in passato. Altri, invece, utilizzano come riferimento dei soggetti sani che, però, non si riesce a dimostrare se siano stati o meno in contatto con il virus.
La positività agli anticorpi non indica necessariamente che si è portatori dell’infezione ma che vi si è entrati in contatto in passato. La comparsa di anticorpi sarà misurata dopo 10 o 15 giorni dall’infezione: se il risultato è negativo non vuol dire che non siamo ancora entrati in contatto con il virus.
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Quando le IgM sono positive significa che il virus è stato contratto almeno 10 a 15 giorni prima. Se ad essere positive sono le IgG, invece, significa che l’infezione c’è stata ma non è recente.
Quando sono entrambe positive l’infezione c’è ed è anche recente; l’ultimo risultato possibile è quello di una negatività ad entrambe le immunoglobuline non c’è stata infezione o, se c’è, è troppo recente per essere individuata.
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