Contro la malaria sono state scoperte delle molecole bloccanti. La scoperta potrebbe determinare la fine di un capitolo: approfondiamo nel dettaglio la questione.
La malaria è una malattia di natura infettiva. Questa è generata da un parassita appartenente al genere Plasmodium e può essere trasmessa all’uomo mediante la puntura da parte delle Anopheles, un genere di zanzare. Riguardo a questa malattia, è stata effettuata una scoperta sensazionale da parte di un team di ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità di concerto con gli esperti del Cnr e dell’Irbm. Si tratta di una conclusione che potrebbe determinare la fine di un capitolo per quanto concerne il trattamento della malaria grazie alle molecole bloccanti.
Scopriamo insieme cosa ha scoperto il team di esperti e soprattutto in che modo potrebbe lo studio pubblicato sulla rivista scientifica “Communications Biology” potrebbe portare ad un cambiamento di rotta in merito al trattamento della malattia in questione.
Quella in esame è una scoperta davvero molto importante che potrebbe condurre ad un rallentamento del contagio. Nello specifico, sono state individuate delle molecole che hanno la capacità di arrestare la trasmissione di quello che è il parassita che dà vita alla catena di infezioni.
Lo studio ha portato all’individuazione di 7 strutture molecolari. Tre di queste, in particolare, sono risultate in grado di bloccare la trasmissione uccidendo i gametociti. Questi, difatti, sono forme del parassita trasmissibili alla zanzara Anopheles che causa appunto la malattia. In poche parole, sfruttando la loro capacità si potrebbe impedire al parassita di svilupparsi all’interno di queste zanzare.
A tal proposito, Giacomo Paonessa dell’Irbm e autore dello studio, ha dichiarato che si tratta di una scoperta che potrebbe condurre allo sviluppo di terapie più efficaci per trattare la malaria. In particolare, l’obiettivo è quello di interrompere la trasmissione andando ad agire proprio sulla catena di contagi che poi dà vita ad un gran numero di infezioni, soprattutto nei paesi meno sviluppati. Ciò detto, non resta che attendere nuovi e importanti sviluppi che vadano ad approfondire quanto scoperto dagli esperti del team provenienti dal Cnr, dall’Irbm e, infine, dall’Istituto Superiore di Sanità.
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