I tumori all’ovaio è una delle maggiori fonti di preoccupazioni per le donne di qualsiasi età, motivo per cui riconoscerne i campanelli di allarme diventa necessario per una diagnosi preventiva.
Nel corso degli anni sono stati messi in atto degli importanti passi avanti in campo tumorale, i quali hanno permesso di distinguere i vari stadi del tumore la cura da mettere in atto al fine di limitarne le cause di morte o la ripresentazione.
Recentemente, inoltre, è stata avviata anche una nuova campagna informativa diretta alla spiegazione presentazione di altri sintomi che possono essere la manifestazione del tumore all’ovaio, considerato ancora oggi una delle maggiori cause di mortalità per le donne.
Tumore all’ovaio: come intervenire
Il tumore all’ovaio nel corso degli anni ed è stata una maggiore preoccupazione di numerosi medici oncologici che, in collaborazione con ricercatori, hanno cercato di individuare il maggior numero di cause scatenanti in relazione al cancro insieme a delle cure che nel tempo hanno permesso di curare e debellare ogni rischio disinformazione.
La conferma di quanto detto percentuale di casi guarigione che si aggirano intorno al 60/90 % di probabilità di guarigione completa dal cancro alle ovaie per le donne, ma solo se si riesce a intervenire in modo concreto non appena si sono manifestati i primi sintomi e campanelli allarme relativi a questo tumore.
Quali sono i sintomi del tumore all’ovaio?
Un nuovo studio scientifico ha permesso di riscontrare come gonfiore, fitte allo stomaco costanti e perdite vaginali possono essere la manifestazione di una fase iniziale del tumore all’ovaio. Nel caso in cui si riscontra la sussistenza di queste problematiche, dunque, il consiglio è quello di rivolgersi a un medico e avviare i dovuti esami.
A esprimersi sulla questione anche il direttore della Ginecologia Oncologica Medica all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, Nicoletta Colombo: “Le terapie di mantenimento hanno dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da progressione, cioè il tempo in cui la paziente vive senza avere ritorno della malattia e non determinano un impatto negativo sulla qualità di vita i farmaci utilizzati nelle terapie di mantenimento, i PARP-inibitori, agiscono su un meccanismo di riparazione del DNA”. La dottoressa Colombo ha poi concluso spiegando: “Questo tipo di terapia si è dimostrato molto efficace soprattutto nelle pazienti portatrici di mutazioni genetiche BRCA 1 e 2, ma anche chi non ha la mutazione può rispondere bene e averne un beneficio. Questo è legato al fatto che circa il 50% dei carcinomi ovarici presenta un difetto del meccanismo di riparazione della doppia elica del DNA, chiamato ricombinazione omologa”.